GRANI ANTICHI

L’etichetta non basta

Il crescente interesse dei consumatori italiani verso i  grani antichi  ha consentito ai prodotti da essi derivati di raggiungere in pochi anni gli scaffali della GDO (grande distribuzione organizzata). Un fenomeno di cui rallegrarsi, nella misura in cui siano effettivamente preservate l’identiità delle  cultivar  e la  sostenibilità  delle filiere agricole locali. A tal fine è utile considerare l’opportunità di ricorrere a  certificazioni  o a tecnologie innovative come la  blockchain, per meglio garantire l’autenticità dei prodotti.

Grani antichi, basta la parola?

L’agricoltura contadina  – in diverse Regioni d’Italia, a partire dalla Sicilia  – ha investito sull’agroecologia. Recuperando popolazioni di frumento con origini storiche e identità distinte, non soggette a evoluzioni  genetiche  tramite incroci bensì  adattate  localmente, grazie a  sistemi agricoli tradizionali con impronta ecologica addirittura negativa, cioè benefica per l’ambiente.

I consumAttori più attenti  hanno seguito questo percorso fin dal suo nascere, tra non poche difficoltà, apprezzando sia il recupero delle tradizioni agronomiche, spesso ancorate al metodo  biologico, sia il legame coi territori, ma anche l’idea di una sinergia virtuosa tra eco-agricoltura, sapori e salute, al punto da considerare i grani antichi, non senza ragioni, quali veri e propri  superfood.

E ancora una volta come sempre i consumatori, veri protagonisti del mercato, hanno trainato la domanda verso il  mass market.

Una possibile criticità  risiede tuttavia nell’incertezza su identità e provenienza delle materie prime da cui origina una crescente schiera di referenze. Tanto più considerato che ricorrono, in questo ambito del settore cerealicolo, due fattori di rischio di frodi alimentari. Il repentino sviluppo del mercato e la carenza di regole di dettaglio. La parola magica in etichetta, di conseguenza, può non bastare.

 

Articolo originale: https://simenza.it/grani-antichi-identita-e-certificazioni/