Consumati da miliardi di persone, i cereali sono il principale alimento nelle diete di tutti gli abitanti del pianeta; forniscono a gran parte della popolazione mondiale una significativa percentuale dell’energia necessaria alle attività giornaliere.

Nel contesto di una dieta equilibrata, i cereali, soprattutto se consumati integralmente, rappresentano una fonte sana di molteplici principi nutritivi, in particolare fibre alimentari e sostanze bioattive e sono fondamentali per la modulazione dell’attività del microbiota intestinale, aumentandone la produzione di metaboliti benefici.

L’incremento, registrato negli ultimi anni, degli indici mondiali di mortalità, attribuibili all’interazione tra malattie cronico-degenerative e alimentazione e l’incremento di patologie infiammatorie permanenti (es: celiachia) o intolleranze di varia natura ha suscitato un maggior interesse nell’investigare la funzione e l’impatto dei cereali nel nostro organismo.

Le statistiche a nostra disposizione indicano che anche alcune patologie di carattere infiammatorio permanente (celiachia) o alcune intolleranze (glutine, etc.), sono in netto aumento; la celiachia è aumentata da due a quattro volte nel corso degli ultimi cinquant’anni, malgrado le cause di quest’incremento non sono state ancora completamente chiarite.

Questo stato dell’arte ha consolidato una tendenza che vede in crescita i consumi alimentari di cibi salutari e di alimenti quanto possibile legati a territori e tradizioni.

Non solo DOP e IGP, ma anche colture storiche quali i grani antichi, identificati come un perfetto esempio di alimento sano, sostenibile e legato al territorio.

I “grani antichi”, in attesa di una definizione agronomica o legale condivisa – sono intesi essere popolazioni dinamiche di frumento con origine storica, identità distinta, assenza di miglioramento genetico tramite incrocio. In prevalenza si tratta di piante adattate localmente, con l’ausilio di sistemi agricoli tradizionali (anch’essi tuttora privi di definizione univoca), caratterizzate da taglia più alta e glutine meno tenace rispetto alle varietà moderne.

Sono molti gli aspetti che la scienza ha trattato e sta ulteriormente sviluppando circa le qualità organolettiche dei grani antichi.

Un aspetto fortemente indagato, anche a causa di interessi economici contrapposti, è quello legato alle proteine presenti nel frumento. Così i promotori di diete gluten-free accusano i grani moderni di essere ‘veleni cronici’ (Davis 2011), mentre i grandi produttori di commodities replicano che ‘il glutine di frumento non fa male’ (National Association of Wheat Growers, 2013).

Tuttavia sono numerose le evidenze scientifiche che sottolineano le differenze qualitative tra grani antichi e grani moderni.

Un dato scientificamente acquisito è che le proteine del glutine delle varietà di frumenti antichi contengono meno «epitopi tossici» (Van den Broeck et al, 2010), cioè le sequenze aminoacidiche riconosciute dai linfociti delle persone affette da celiachia. Una dieta a base di queste varietà di frumento può dunque aiutare nella prevenzione (Ventura et al., 1999; Ivarsson et al., 2000; Fasano, 2006). I grani antichi NON possono essere assunti, in qualsiasi forma, da soggetti celiaci.

Il glutine nei ‘grani antichi’ non si distingue, dal punto di vista quantitativo, rispetto alle varietà moderne. È invece diverso l’indice di glutine, un parametro che esprime la forza ed è molto inferiore nei frumenti antichi, la cui lavorazione è quindi più difficile e poco compatibile con le moderne tecnologie di pastificazione, fattore che spesso determina giudizi negativi verso questi ultimi, da parte delle lobby dei grandi pastifici.

Studi comparati tra varietà di frumento antiche e moderne hanno poi evidenziato che le prime producono granella che abbassa o annulla la produzione di citochine pro-infiammatorie nell’organismo umano (Gallo et al., 2010; Di Silvestro et al., 2012; Valerii et al., 2014).

Diversi studi mostrano in effetti una progressiva diminuzione dei tenori di minerali, nelle cariossidi di frumento, negli ultimi 160 anni. Cultivar altamente produttive, a taglia bassa, risultano avere minori contenuti di rame, ferro, zinco e magnesio (Fan et al., 2008; Ficco et al., 2009; Zhao et al., 2009).

Le farine di grani antichi si caratterizzano altresì per un contenuto e una varietà maggiore di sostanze fitochimiche biologicamente attive come polifenoli (flavonoidi, lignani, isoflavoni), carotenoidi, tocoferoli e fibre. A cui vengono attribuite importanti funzioni di nutraceutica, incluse le attività antitumorale, antinfiammatoria, immunosoppressiva, cardiovascolare, antiossidante e antivirale (Dinelli et al., 2011). Questi studi hanno rilevato la scomparsa, nelle varietà moderne, di composti quali Acido Vanico, Vanilina, Cumarina, Inochinina, etc., molto utili per le funzioni fisiologiche del nostro organismo.

Un recente studio ha messo in evidenza che l’utilizzo di farine di grani antichi provoca da un lato un abbassamento significativo sia del colesterolo totale, sia di quello LDL (o ‘cattivo’) e del glucosio nel sangue (Sereni et al., 2016), riscontrando, d’altro canto, un aumento delle cellule staminali in circolazione, mobilizzate dal midollo osseo, che sono in grado di riparare i vasi sanguigni danneggiati (Sereni et al., 2016).

Effetti benefici ‘convincenti’ riguardano infine vari parametri legati a malattie cardio-metaboliche, quali i profili lipidici, quelli glicemici e lo stato infiammatorio e ossidativo (Dinu et al., 2017).

Alcuni studi (Youn et al., 2012 e Amin et al., 2013) riportano che la sostituzione di farina di frumento integrale, con quella raffinata, provoca iperinsulinemia e iperglicemia.

L’alimentazione a base di prodotti a base di grani antichi provoca una downregulation dei geni coinvolti nel metabolismo del glucosio e dei grassi, con una conseguente riduzione dei livelli di insulina (Thorup et al., 2014). Inoltre, una ricerca che prendeva spunto da un trial medico, ha confermato che una dieta sostitutiva con prodotti a base di grano antichi ha ridotto i livelli di glucosio e insulina, sia nei soggetti sani che negli individui affetti da diabete (Whittaker et al., 2017) o ad alto rischio di malattie cardiovascolari (Whittaker et al., 2015).

Uno studio condotto da ricercatori italiani (Ianiro et al., 2019) ha confrontato gli effetti di un’alimentazione con pasta a base di grani antichi rispetto a una dieta a base di pasta ottenuta da grani commerciali standard, su soggetti affetti da sensibilità al glutine non celiaca (NCGS).

I soggetti sottoposti a un periodo di due settimane di alimentazione con pasta a base di grani antichi, hanno manifestato, al termine del periodo di test, un miglioramento di diversi parametri quali: gonfiore, distensione addominale, eruttazione, flatulenza, sensazione di evacuazione incompleta, dermatite e intorpidimento degli arti.

Oltre ai fattori intrinseci sono importanti, per le correlazioni con la salute umana, anche i processi di trasformazione a cui vengono sottoposti granella e sfarinati di frumento.

Infatti, lo studio delle proprietà dei grani antichi merita una valutazione più ampia, che tenga conto anche dei fattori ambientali e dei processi di trasformazione.

I grani antichi sono vocati a tecniche di trasformazione rispettose dell’esigenza di mantenere le caratteristiche nutrizionali, quali ad esempio la molitura integrale che è caratteristica tipica dei mulini a pietra.

I processi di lievitazione – con particolare riguardo alla natura dei lieviti utilizzati e ai tempi di lievitazione – a loro volta incidono sulla qualità del prodotto finale. Il lievito di birra, in particolare, conduce a una fermentazione rapida e a un’elevata produzione di CO2. Viceversa l’utilizzo della c.d. ‘pasta madre’ consente in genere di ottenere prodotti da forno connotati da maggiore digeribilità e minor presenza di sostanze anti-nutrizionali, con effetti positivi sulla microflora intestinale, apporto di sostanze che prevengono le malattie degenerative e migliore qualità del glutine (Di Cagno et al., 2008).

La maggior durata di lievitazione (> 4 ore) permette anche di ridurre la presenza di alcuni carboidrati a catena corta, i c.d. FODMAP (Fermentable Oligo Di and Mono-saccharides and Polyols, oligo di e mono-saccaridi fermentabili e polioli), contribuendo al controllo dei sintomi da sindrome dell’intestino irritabile (IBS, Irritable Bowel Syndrome) e altri disturbi gastrointestinali funzionali (Ziegler et al., 2016).

Le temperature di essiccazione, nel processo produttivo della pasta secca, meritano altrettanta considerazione.

Le paste ‘industriali’ vengono in genere essiccate ad alte temperature (> 90°C), ben oltre i 40-45°C della tradizione. L’essiccazione della pasta ad alta temperatura ne riduce drasticamente il valore nutrizionale, poiché distrugge le vitamine termolabili e diminuisce la quantità di un aminoacido essenziale – la lisina – fino al 50%. Oltre a determinare la formazione di furosina, che aggredisce i villi intestinali, alterando la loro integrità strutturale e funzionale.

I grani antichi rappresentano un esempio concreto della possibilità di costruire un progetto economicamente e ambientalmente sostenibile, utile alla salute umana, una sorta di “retro-innovazione”, ovvero un nuovo modo di intendere la filiera produttiva agricola, che deve soprattutto tener conto del benessere fisico e ambientale.

 

Articolo di Paolo Caruso, Direttore tecnico di Simenza, Associazione che tutela e valorizza l’agro-biodiversità siciliana, che annovera il maggior numero di produttori di grani antichi siciliani, agronomo, collaboratore di ricerca presso Dipartimento di Agricoltura, Alimentazione e Ambiente dell’Università di Catania.

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